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Domenica 10 agosto – LA STORIA DI PATRICE E MICHEL

La storia di Patrice e Michel

Regia di Olivier Casas. Con Yvan Attal, Mathieu Kassovitz, Victor Escoudé-Oury, Enzo Bonnet, Viggo Ferreira-Redier. Titolo originale: Frères. Genere Drammatico, – Francia, 2024, durata 105 minuti.

1948. Michel e Patrice, due bambini di 5 e 7 anni, dopo essere stati abbandonati dalla madre in un campo estivo nei pressi di La Rochelle, fuggono nella foresta in seguito alla scoperta del cadavere del proprietario del posto che si è suicidato. Lì sopravvivono per sette anni e affrontano insieme continue avversità che fortificano ancora di più il loro legame. Patrice protegge sempre Michel arrivando pure a digiunare pur di far mangiare lui. Trascorrono molti anni. Michel si è sposato, ha due figli ed è diventato architetto. Patrice invece è medico ed è il direttore di una clinica ma un giorno sparisce. Così Michel molla tutto e lascia la sua famiglia per ritrovare il fratello che si è rifugiato in Canada. I segreti del loro passato continueranno però a tormentarli, anche a distanza di tempo e dall’altra parte del mondo.

Il cineasta francese ha ricostruito i momenti più importanti della loro esistenza in una continua alternanza tra passato e presente, con consistenti fratture temporali proprio per lasciare emergere progressivamente alcuni episodi determinanti: Michel che pensava di morire dopo che il fratello era scomparso, l’incontro con l’uomo che raccoglie le ostriche, l’abbandono davanti la colonia estiva e l’apparizione improvvisa della madre.

In La storia di Patrice e Michel la dimensione avventurosa cede il passo a quella intimista. Poteva invece essere maggiormente messo a fuoco l’istinto di sopravvivenza, la natura solitaria e l’incontro con gli altri – visti anche come alieni – come, per esempio, nella parte dell’incontro con i gitani amplificando così la loro ‘infanzia selvaggia’ con possibili echi dell’anarchia dal cinema di François Truffaut. Prevale però la voce-off di Michel, la sua visione personale e lo sguardo quasi ‘soggettivo’ sul fratello.

Al di là di qualche eccesso ridondante soprattutto evidente sia a livello musicale sia in soluzioni di montaggio che mostrano la stessa azione dei fratelli in due momenti differenti della loro vita come nella scena della caccia, il film riesce a mettere adeguatamente in evidenza il differente inferno interiore di Patrice e Michel, il loro scollegamento con la loro realtà professionale e soprattutto familiare che ha la consistenza di fugaci flash. Anche se in maniera diversa, Attal e Kassovitz giocano abilmente di sottrazione. Le loro espressioni, i loro gesti, prevalgono sui dialoghi. Resta soprattutto istintivo il rapporto e il richiamo con la natura, dai boschi oscuri dell’infanzia alle vaste distese innevate del Canada dell’età adulta, che rappresenta l’unico modo per confrontarsi con il loro differente vuoto esistenziale, a dimostrazione del fatto che il film riesce a dare il meglio proprio nelle parti meno narrate.

(mymovies.it)