A Complete Unknown
Regia di James Mangold. Con Timothée Chalamet, Edward Norton, Elle Fanning, Monica Barbaro, Boyd Holbrook. Genere Biografico, Drammatico, Musicale, – USA, 2024, durata 141 minuti.
1961. Al capezzale di Woody Guthrie, cantante folk in fin di vita, si presenta un ragazzo del Minnesota, Robert Zimmerman, che si fa chiamare Bob Dylan. Woody e l’amico Pete Seeger lo ascoltano suonare e capiscono di avere a che fare con un talento raro. Dylan si fa strada rapidamente nella scena newyorchese del Greenwich Village e diviene un artista folk adorato per la sua capacità di unire una musicalità innata a temi di protesta che non fanno sconti al sistema. Si lega sentimentalmente a Sylvie Russo, ma la tradisce con Joan Baez, altro talento della scena folk. Fino al 1965, anno della svolta “elettrica”, in cui Dylan suona con un gruppo rock e abbandona i testi impregnati di messaggi politici in favore di un lirismo surreale tra Rimbaud e Dylan Thomas. La comunità di Greenwich Village lo considera un traditore, ma il mondo è ormai ai suoi piedi.
Risolvere l’enigma Bob Dylan, tra verità e menzogna, mito e idolatria, rimane chiaramente un’impresa impossibile. Allora meglio accettare la vulgata dylaniana per come è e lavorare sulla percezione di Dylan, quella del pubblico dei primi Anni Sessanta e di noi spettatori del terzo millennio. In questo senso l’operazione di Mangold è coraggiosa: seppur non radicale quanto il trattamento di Todd Haynes in Io non sono qui – che scomponeva Dylan in personaggi multipli, interpretati da attori differenti tra loro per età o etnia di appartenenza – è quantomeno abbastanza accorta da evitare l’approccio più tradizionale alla materia biografica.
Qui il peso è tutto sulle spalle di Timothée Chalamet e il focus è solo su un preciso periodo della carriera di Dylan, quello dell’ambizioso folksinger venuto dal nulla, con una valigia piena di canzoni e idee sconvolgenti. Distaccato, arrogante e imperscrutabile, il Dylan di Chalamet è un ragazzetto bizzoso, impossibile da associare logicamente all’autore di “Masters of War” o “Like a Rolling Stone”, proprio come Dylan stesso, da sempre impegnato a nascondere la sua identità nelle composizioni. Come i fan ben conoscono, e come lui stesso ha implicitamente confermato, Dylan è le sue canzoni, nelle quali interpreta il pensiero (contro)corrente della protesta o si allontana da essa per sfuggire al conformismo dell’anticonformismo e dimostrarsi sempre un passo avanti rispetto agli altri.
Di qui la scelta di Mangold, anomala per il biopic musicale classico, di privilegiare, quasi fosse un musical, l’elemento sonoro rispetto alla storia, con Chalamet che reinterpreta molti brani del repertorio dylaniano.
(mymovies.it)